EZIO BOSSO E L’ARTE DELLA PSICOTERAPIA
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EZIO BOSSO E L’ARTE DELLA PSICOTERAPIA

Aggiornamento: 23 mag 2020


Ho riflettuto molto prima di scrivere questo articolo, perché a volte è difficile trovare le parole per rappresentare esperienze intense e profonde, come quella che ti sto per raccontare.


Il protagonista di questa esperienza, che mi riguarda come professionista, è Ezio Bosso, il direttore d’orchestra, compositore e pianista mancato qualche giorno fa a causa di una malattia neurodegenerativa.


Ma andiamo con ordine.


Era il 2016: quell’anno, nell’orchestra del festival di Sanremo, suonava una mia cara amica, Chiara, così decido di seguire lo spettacolo.


Ad un certo punto il conduttore annuncia l’entrata in scena del maestro Ezio Bosso: incuriosita dalla presentazione che era stata fatta di questo ospite, scelgo di rimanere sintonizzata per scoprire di chi si tratta.


Quella serata rimarrà per sempre impressa nella mia mente: le parole di questo grande uomo e musicista mi sono arrivate dritte al cuore e sono state amplificate dalla gioia di vedere la mia amica commossa come me.


Forse però ti stai domandando: cosa c’entra tutto questo con il mio essere terapeuta?


Ebbene, le parole che il maestro ha usato quella sera per descrivere il suo modo di intendere la musica sembravano fatte apposta per parlare di psicoterapia, intesa non semplicemente come una professione d’aiuto, ma come un’arte raffinata che, per essere praticata, richiede mente e cuore.


Ciò che voglio proporti ora è un viaggio attraverso 3 analogie tra musica e psicoterapia che ho

personalmente individuato nel discorso di Ezio Bosso e che sono state per me un’autentica rivelazione!


La prima analogia ha a che fare con una frase pronunciata dal maestro quella sera: “La musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare.”


Ho così subito pensato alle storie di vita che ascolto ogni giorno nel mio studio e ho immaginato che fossero come uno spartito, pieno di note, di pause, di indicazioni sulle modalità d’esecuzione ecc..


Così mi sono chiesta: se una storia di vita è come uno spartito suonato dal suo compositore, io, come terapeuta, a cosa devo prestare ascolto?


La risposta è: a tutto, cioè al contenuto delle parole, ma anche al tono e alla velocità con cui vengono pronunciate, ai silenzi messi tra le frasi, alle reazioni del corpo e, ultimo ma non per importanza, al “suono” delle emozioni che quelle parole suscitano nella persona e in me.


Ciò che mi affascina di questa analogia è che, così come non esistono due musiche uguali, allo stesso modo non esistono due storie di vita identiche: perciò il mio compito, come terapeuta, è quello di sintonizzarmi sulle modalità che ciascuno ha di interpretare il proprio spartito, cioè di dare significato a quello che vive.


La seconda analogia riguarda il discorso che Bosso ha fatto quella sera parlando del suo album “La dodicesima stanza”, ispirato ad un’antica teoria tibetana secondo la quale la nostra vita è composta da dodici stanze.


Il maestro ha fatto riferimento al significato della parola “stanza”, ovvero fermarsi, stare nelle cose e ha poi ricordato come ciascuno di noi ha dentro di sé una stanza piccola, buia, dove non vorrebbe mai entrare.


Queste parole mi hanno fatto pensare a tutte le volte in cui le persone che incontro in studio mi danno il permesso di accedere alla loro stanza piccola e buia, quella abitata dalle paure e dalle angosce che non riescono ad affrontare da sole.


Io entro sempre in punta di piedi, perché ho un profondo rispetto per il dolore altrui; allo stesso tempo, però, so che il mio compito è quello di aiutare le persone a trovare l’interruttore per fare finalmente luce, cioè diventare pienamente consapevoli di se stesse e in questo modo ri-decidere per la propria vita.


La terza analogia, infine, riguarda una frase pronunciata da Bosso che quella sera ha scatenato un forte applauso tra gli spettatori: “La musica, come la vita, si può fare in un solo modo: insieme!”.


Sentendo queste parole ho pensato a come spesso venga trasmessa una visione distorta della psicoterapia: non si tratta, infatti, di un incontro tra due persone in cui una dà consigli all’altra, che li accetta passivamente.


Si tratta invece di un percorso che prevede un “fare insieme”: come terapeuta, infatti, non mi sostituisco mai alla persona, ma la affianco nel suo viaggio alla scoperta di sé, aiutandola a scegliere in autonomia nuove strade da intraprendere per realizzare i suoi desideri.


In conclusione, mi piace ricordare le parole di Ezio Bosso, che cita un altro grande direttore d’orchestra, Abbado e che sembrano un riassunto perfetto di questo articolo: “La musica è la nostra vera terapia”.


Questo è il mio piccolo omaggio ad un grande uomo che, in una sera d’inverno, mi ha emozionato con le sue parole e le sue note e mi ha mostrato, inaspettatamente, un modo diverso, intenso e profondo di concepire il mio essere psicoterapeuta.


 

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